Se diciamo videogiochi è inevitabile che la mente ricada ad un certo tipo di prodotti che è spesso sinonimo di Giappone. Benché infatti l’inizio della storia dei videogame parli la lingua occidentale, è grazie alla prolifica e fervente attività di sviluppo proveniente dal Sol Levante che i giochi elettronici sono diventati un fenomeno culturale tale da ritagliarsi un posto di primo piano nella quotidianità dei nostri tempi. Grazie infatti ad alcune aziende nipponiche il mondo dei videogame si è fatto strada ad ampie falcate tra le maglie strettissime del mercato dell’intrattenimento e della tecnologia fino a diventare un business dal fatturato incredibile che secondo i dati ha raggiunto nel 2016 i 91 miliardi di dollari al livello mondiale.

Perché il Giappone?

L’egemonia nipponica in questo settore è certamente figlia della impronta industriale che permea la nazione fatta di aziende occupate in ambito tecnologico che negli anni ’70 e ’80 ha portato una serie di prodotti e marchi a diventare capisaldi dello sviluppo hi-tech mondiale. Sono quelli gli stessi anni in cui i giochi elettronici hanno visto la loro epoca preistorica di nascita e primi esperimenti. E i confini del grande arcipelago asiatico sono stati culla di alcuni dei marchi storici di questo settore ad iniziare da Taito, una delle pioniere nipponiche del business, che si avventurò nella creazione di cabinati da sala giochi che sono ancora oggi un cult.

Il momento propizio, il punto di svolta che portò i videogiochi ad essere un “lavoro da giapponesi” fu il biennio 1983/1985 quando l’industria videoludica occidentale, per lo più americana, collassò lasciando campo libero ai prodotti importati dal Giappone come il Nintendo Entertainment System (in patria denominato Famicom) della omonima azienda che da produttrice di carte da gioco aveva già fiutato l’enorme opportunità di questo nuovo business in ascesa. Il NES fu la console di gioco casalinga che risollevò il mercato dei videogiochi proponendosi come un prodotto economico e quindi alla portata di tutte le famiglie.

Da quel punto in poi Nintendo e tutti gli altri produttori che si affacciarono nell’industria (SEGA, Taito, Bandai, Konami, Namco, SNK) videro spianata in tutto il mondo la strada per i loro prodotti grazie alla serie di console che anno attraversato le generazioni e segnato l’infanzia e adolescenza di intere generazioni.

Cultura ludica made in Japan…

Un altro fattore che ha catalizzato di fiorire di software house e produzioni videoludiche made in Japan è stato anche il loro attecchimento nella vita di tutti i giorni della popolazione giapponese. Nei primi anni il videogioco in occidente era stato visto come un’attività per giovani generazioni o per persone esperte di tecnologia che ne conoscevano e approfondivano dettagli e meccanismi di funzionamento. Una nicchia quindi. Nel contempo in Giappone il videogioco ha assunto una accezione molto più sociale e preponderante per svariati fattori insiti nella cultura giapponese.

Tutto questo è stato favorito soprattutto dalla presenza del pachinko, gioco d’azzardo giapponese nato verso la fine della seconda guerra mondiale molto diffuso in Giappone che veniva (e viene tutt’ora) giocato in apposite sale giochi. Proprio all’interno di queste sale giochi molto spesso hanno preso posto e accumulato popolarità i più iconici titoli cabinati del passato fino alla creazione di enormi game center multipiano tipici del Giappone. E di riflesso anche il pachinko ha ottenuto i suoi vantaggi diventando sempre più tecnologico e digitale fino a espandersi verso le nuove frontiere delle Roulette online, attuale ambito più hi-tech dei casinò online.

Evitando di tediare con discorsi da sociologo, si può dire che il videogioco in Giappone abbia riempito il tempo libero delle persone grazie alla sua trasversalità fino a raggiungere e toccare tutte le categorie e fasce d’età. Il variopinto e colorato folklore del Giappone, contrapposto al suo rigore di tutti i giorni, ha creato in pochi decenni una sottocultura che ha fatto nascere mode ed è diventata un aggregatore sociale di non poco conto che fa stare l’uno accanto all’altro il giovanissimo ragazzino e l’impiegato d’azienda in giacca e cravatta.

… e la diffusione in Occidente

Negli stessi anni in cui prendevano piede in Giappone, i videogiochi nipponici si insinuavano tra le pieghe del mondo occidentale. Il gusto per l’ovest del mondo per il diverso, l’inusuale, l’esotico prese piede e riuscì, come detto, a superare in popolarità il movimento di sviluppatori europei e americani. Saghe storiche come Super Mario, Final Fantasy, Pac-man, Street Fighter, Sonic, Pokémon hanno segnato quell’epoca e quelle a venire offrendo ai giocatori serie di giochi poi diventati brand con un seguito di appassionati incredibili.

I giovani giocatori degli anni ’80 e ’90 sono oggi adulti che continuano spesso e volentieri a rendere omaggio ed esaltare quelli che oggi chiamiamo retrogaming, nonostante il progresso tecnologico, come a voler tramandare nel tempo la storia di questo media e le sue origini alle generazioni future. Del resto, sulla base delle idee di molti dei videogiochi della cultura giapponese si sono sviluppati generi e categorie di titoli che ancora oggi pescano a piene mani da quella stagione di sperimentazione e creatività che nacque decenni orsono tra i frastagliati confini marittimi dell’arcipelago nipponico.

Senza il Giappone e la sua spinta creativa, oggi il mondo dei videogiochi avrebbe certamente un aspetto diverso che è possibile solo ipotizzare. Chissà cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente.