Il problema fondamentale che angoscia i giocatori di ogni fede e piattaforma sin dall’avvento del mercato digitale, è rappresentato dall’impossibilità di poter vendere come usati i videogiochi acquistati in questa maniera a terze parti poiché vengono indissolubilmente associati al proprio account personale, dal quale cioè non possono essere trasferiti su altri. Questa limitazione vale non solo per gli acquisti effettuati direttamente tramite un servizio di vendita digitale, ma anche per molti giochi retail, acquistati cioè in un negozio fisico, i quali sempre più di frequente dispongono di un DMR (Digital Rights Management) che ne richiede l’attivazione online, su PC tramite software appositi quali Steam, Origins o Uplay, e più raramente anche su console.

Ed è proprio Valve Software, azienda leader nell’industra videoludica per lo sviluppo e la distribuzione di videogiochi, ideatrice del noto servizio Steam, che è stata recentemente denunciata da parte della Federation of German Consumer Organizations (VZVB), associazione tedesca per la difesa dei diritti del consumatore, perché la società non consente agli utenti di Steam di rivendere i propri giochi com’è invece consuetudine fare con i prodotti retail; ad aggravare la cosa c’è anche il fatto anche molti dei giochi oggi in commercio nei negozi fisici necessitano dell’attivazione online su Steam, legandoli in modo permanente all’account di un solo utente. È scontato dire che Steam funge da capro espiatorio in questa faccenda, dato che sono molti i produttori che implementano nei propri giochi sistemi DRM che obbligano l’acquirente a registrare il prodotto ad un account virtuale legato alla prorpria persona, e questo accade non solo su PC ma anche su console e dispositivi portatili grazie alla diffusione dei vari e-shop.

Nel mese di Settembre dello scorso anno la VZVB aveva già intimato la società di rivedere il Contratto di Sottoscrizione a Steam, reduce di una modifica durante il periodo estivo che negava da quel momento in poi sia a Valve che agli utenti la possibilità di effettuare azioni collettive, note anche come class action, sulla base di dispute tra l’azienda ed i consumatori, che andrebbero invece risolte tramite il servizio di assistenza Steam. In quel caso, gli utenti si ritrovarono costretti ad accettare il nuovo contratto così da non veder eliminato in modo irreversibile il proprio account Steam a cui è associata, naturalmente, l’intera collezione dei giochi acquistati. Tutto questo rappresenta dunque un altro capo d’accusa per la causa legale indetta dall’associazione tedesca, che sembra pronta a far valere i diritti dei propri consumatori davanti al giudice. Resta comunque da vedere da quale parte si schiererà la community globale di videogiocatori, che fino ad ora sembra essere molto divisa tra chi da una parte approva i sistemi DRM sempre più invasivi adottati dai venditori, e chi invece non riesce proprio a farsene una ragione, mentre invece è parere comune che la compravendita di videogiochi di seconda mano acquistati digitalmente porterebbe ad un repentino declino del florido mercato del digital delivery.

La vendita e la distribuzione digitale di materiale ludico sono elementi relativamente nuovi, ma in poco tempo sono diventati un aspetto fontamentale della vita di ogni videogiocatore, per le comodità e i tanti vantaggi che hanno da offrire. Gli svantaggi tuttavia non mancano e sembrano pesare sempre più sui consumatori. È dunque necessario che le condizioni di vendita e distribuzione di giochi digitali siano riviste per garantire un maggiore rispetto verso il consumatore? Facciamo un passo indietro, per vedere cosa effettivamente tali meccanismi hanno da offrire in più o in meno ai giocatori.

Quando si è cominciato a sentir parlare della possibilità di un mercato digitale per i videogiochi, la speranza che al contempo nasceva nel cuore dei giocatori più parsimoniosi era quella di assistere alla possibilità di acquistare un gioco digitale a prezzo inferiore rispetto alla sua controparte retail, data l’assenza di supporti fisici come dischi o cartucce, della confezione, di un manuale cartaceo e di eventuali contenuti extra, e considerato anche il risparmio che le case produttrici hanno evitando di doversi rivolgere ad ulteriori aziende per la distribuzione dei propri prodotti nei Paesi di tutto il globo. Il mercato digitale rappresenterebbe dunque una seconda possibilità per i prodottori, soprattutto quelli indipendenti, e poter vendere i propri giochi spendendo di meno, il che comporterebbe di conseguenza un risparmio anche per gli utenti che sarebbero in grado di acquistare i giochi ad un prezzo inferiore ed averli inoltre pronti da giocare allo scoccare della mezzanotte del fatidico day one, anziché aspettare l’apertura di un retailer o l’arrivo del corriere. Purtroppo però non è così.

È un dato di fatto che un gioco per PC di recente uscita in vendita nei negozi fisici a €49,99 venga venduto allo stesso prezzo anche su Steam e sul resto dei distributori digitali. Ma perché accade questo? È vero che il bene fondamentale per cui effettuiamo l’acquisto, cioè un gioco virtuale, è il medesimo, ma l’indubbia riduzione dei costi dovuta all’assenza di una produzione e distribuzione materiale del prodotto dovrebbe giustificarne un prezzo più agevolato, cosa che invece non accade.

Va detto però che i rivenditori digitali presentano i propri prodotti scontati con una frequenza nettamente superiore rispetto a quanto avviene con i rivenditori fisici, ma nonostante ciò capita non di rado di trovare giochi retail in vendita ad un prezzo inferiore rispetto a quanto avviene nel mercato del digital delivery, anche il giorno stesso della prima commercializzazione del prodotto.

Va altresì detto che i servizi di dital delivery offrono bonus di prenotazione per invogliare i giocatori ad acquistare i titoli prima del loro rilascio, e questo viene fatto garantendo piccoli sconti sul prezzo, copie di giochi in omaggio, contenuti esclusivi o in anteprima, e spesso anche la possibilità di precaricare il gioco sul proprio disco fisso, effettuandone naturalmente il download, in modo da averlo pronto per quando sarà disponibile; tutto questo comunque avviene anche con i retailer fisici, che garantiscono anch’essi bonus quali prezzi scontati o gadget in omaggio, e senza considerare poi i vantaggi offerti dalle versioni scatolate di un gioco come il sempre più raro manuale cartaceo e l’opportunità effettuare l’installazione senza ricorrere al suo download, poiché non in tutte le zone del globo sono disponibili connessioni internet a banda larga a dispetto invece di ciò che molti sono abituati a pensare.

Si rende necessaria poi un’altra precisazione. Negli ultimi anni i videogiochi sono entrati a far parte della nostra vita di tutti i giorni come mai prima d’ora; essi non sono più solo la virtualizzazione di un gioco da tavolo, o di passatempi per bambini, ma una delle più importanti forme di intrattenimento dei giorni nostri. PC, cellulari, tablet, SMART TV e naturalmente console, i videogiochi compaiono ormai ovunque ed intrattengono persone di ogni fascia d’età e sesso, ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le occasioni. È quindi più che giusto che, se quello videoludico è un mercato con dei problemi, essi vengano posti all’attenzione di tutti e risolti il prima possibile.

Tuttavia proprio Valve ha dimostrato nel corso di questi anni grande spirito di innovazione ed certo riguardo nei confronti dei giocatori, rendendola una delle software house più apprezzate in assoluto  soprattutto tra gli appassionati che giocano su PC Windows, Mac e Linux, ed è un peccato quindi che sia stata proprio essa la prima a subire la collera dell’associazione per i diritti del consumatore tedesca. Lo stesso Gabe Newell, co-fondatore ed attuale amministratore delegato di Valve Corporation, ha più volte espresso il proprio interesse nel fornire la possibilità ai produttori di vendere i propri giochi su Steam senza limitazioni di DRM, allo stesso modo di GOG.com, e di creare un mercato dell’usato interno al servizio per aiutare gli utenti a riciclare i giochi a cui non sono più interessati.

Il fiorente mercato digitale di videogiochi è una gran cosa, esso permette ai giocatori meno spendaccioni di risparmiare soldi grazie ad “offerte che non si possono rifiutare”, mentre consente alle software house più piccole di poter pubblicare e far conoscere i propri titoli senza bisogno di investire considerevoli cifre di denaro. Ci auguriamo dunque che la vicenda giudiziaria possa concludersi nel migliore dei modi negli interessi sia del consumatore, sia delle aziende impegnate da sempre nel regalarci piccoli e grandi momenti di gioia.