Da tempo immemore i fan della saga di Assassin’s Creed chiedono a gran voce la costruzione di determinate ambientazioni da parte di Ubisoft. Dalla nascita del franchise la più gettonata era sicuramente il Giappone e, sinceramente, avrei voluta vederla anche io.

Tuttavia, dopo due anni di attesa per un titolo in grado di risollevare la saga da una negativa spirale di infamia, Ubisoft ha voluto puntare sulla realizzazione dell’Egitto nell’epoca di Cleopatra. Oltre alla peculiare location, questa volta “Assassin’s Creed Origins” sarebbe stato un RPG completo in tutto e per tutto, un cambiamento enorme nel brand ormai tarato per una componente “Action/Stealth”.

All’inizio, dalle prime informazioni, ammetto di aver storto il naso. Non ero molto convinto da quanto il team di sviluppo stava facendo, complice soprattutto il taglio quasi “fantasy” donato al gameplay ed al combattimento. Eravamo tutti abituati ad assassini che si muovevano nell’ombra, rivoltavano società dall’interno o con l’ausilio di gang, dei veri e propri fantasmi portatori di morte in grado di influire a livello politico e civile. Di certo, l’ultima cosa che mi aspettavo di vedere era uno dei precursori della confraternita combattere con divinità e scorpioni giganti in una sorta di “Dark Souls sul Nilo”.

La sorpresa è stata accompagnata, prevedibilmente, da dubbi piuttosto forti. Come coinvolgere il giocatore in questo nuovo stile? Quanto vale effettivamente uno scenario simile? La mia prima risposta, che ancora sostengo fortemente a pochi giorni dal lancio, è che effettivamente questo progetto sarebbe dovuto essere slegato dall’universo di Assassin’s Creed. Proprio per via di alcune colonne stabili del franchise, come lo stealth, trovo che l’RPG possa risultare mozzato da costrizioni del franchise che gli impediscono di espandersi completamente. Una sorta di catena affibbiatagli ancora prima della creazione. Naturalmente solo all’uscita, con le prime recensioni, potremo effettivamente capire quanto ciò sia vero, per quanto lo avessimo già provato a Milano tramite la penna del mio collega Carlo Apuzzo.

I miei dubbi però continuavano a rimanere, frullandomi in testa mentre cercavo indizi per comprendere appieno cosa significasse ambientare un RPG tra le piramidi ed i faraoni. Ad un certo punto, come un lampo a ciel sereno, la riposta arrivò direttamente nelle mie mani. Proprio letteralmente, durante un evento “Pre-Release”.

Il mondo di “Magic The Gathering”  ancora una volta è venuto in mio soccorso attraverso la ricca storia di “Amonkhet” e “L’Era della Rovina“. Per chi non lo sapesse, queste due espansioni del più famoso gioco di carte della storia trattano proprio l’ambiente egiziano, fondendone il  folklore in scenari al limite del fantasy e del misticismo. Le divinità di questa terra possedevano seguaci, soldati ed altre creature che venivano sottoposte a prove in grado di renderle degni agli occhi degli dei. Proprio come avverrà con i contenuti post lancio di Origins. “L’Era della Rovina” ha fatto cadere le figure divine dai culti perversi in favore dell’annientamento totale, un qualcosa che similmente potrebbe accadere con l’operato di Bayek nelle sue lotte contro sacerdoti e divinità.

Ben prima dell’annuncio degli add-on avevo però già compreso l’intento di Ubisoft, o il potenziale godimento che sarebbe arrivato esplorando le terre dorate dell’Egitto. Come abbiamo già visto nei vari materiali promozionali, il team di sviluppo ha voluto fortemente incentrare i contenuti del gioco nella dimensione mistica del pantheon egiziano. Da Anubis ad Horus, vediamo il nostro assassino confrontarsi con cultisti e creature direttamente inviate da queste figure mitologiche, facendo passare il tutto attraverso le traballanti funzioni dell’Animus, unico appiglio per giustificare la presenza di leggende nel mondo reale. Il folklore religioso è effettivamente uno dei cardini dell’ambientazione scelta, soprattutto considerando le numerose pratiche (come la mummificazione o le piramidi) che hanno da sempre ispirato le produzioni nel mondo dell’intrattenimento e non.

Sfruttando sapientemente questi elementi, è possibile creare delle sceneggiature molto interessanti che vengono esaltate dall’eccellente lavoro dei concept artist presenti in Ubisoft, molti dei quali hanno lavorato spesso alla saga di Assassin’s Creed. Questa propensione al mistero ed al mitologico potrebbe, però, cozzare con alcune colonne stabili del franchise: come per esempio il gameplay stealth, la trama dei Precursori e via dicendo.

Tuttavia, se il giocatore è disposto a mettere da parte alcuni preconcetti del pensiero funzionante per “comparti stagni”, potrà scoprire sicuramente un mondo ricco di tradizioni al limite dell’immaginario. Si tratta di un panorama in grado di creare un’esperienza da RPG che potrebbe essere più unica che rara, mettendolo come protagonista di una sorta di “rivolta” contro le fondamenta culturali (personificate) dell’epoca. Tutto risiede nelle mani del team di sviluppo, affidate delle nostre speranze di vedere utilizzate al 100% le leggende egizie.

Vedremo forse il trionfo del misticismo sull’uomo? O lo vedremo cadere come è successo nell’espansione di “Magic the Gathering”? Quello di cui posso darvi certezza è che le premesse, puramente narrative, dell’ambientazione e della sceneggiatura sono ottime per avere un’esperienza particolareggiata che ancora non è mai approdata nel panorama video ludico. La scelta dello scenario desertico pregno di divinità e città dorate immerse in lussureggianti oasi è quasi preferibile a quella del Giappone, già ampiamente esplorata da tantissime altre produzioni.

Infine voglio chiudere citando le parole di uno degli sviluppatori di CD  Projekt Red durante il Drago d’Oro del 2016: “Sfruttare la cultura della propria patria è il primo passo per creare un gioco di successo”. Il mondo è pieno di luoghi ricchi di folklore che aspettano solamente di essere trasporti in videogioco, l’unico mezzo che ci permette di viverli nella loro immaginifica bellezza.