Le tenebre calano su Gamempire.it in questi giorni contornati da mostri, spettri e creature infernali. Il periodo dell’anno più terrificante è finalmente giunto ed Halloween ci ha portato perfino The Evil Within 2, che da poco recensito.

Il genere horror diventa dunque sovrano negli speciali di tutte le testate online e non, dal cinema al videogioco. Non a caso possiamo vedere l’alba del nuovo “IT” ed il ritorno di “Shining” al cinema proprio durante la notte dei morti viventi.

Nel mondo videoludico abbiamo visto il boom dei survival horror, specialmente negli ultimi anni. Che sia in prima o in terza persona, il compito di questi giochi è quello di farvi accapponare la pelle dalla paura. Ma qual è il metodo giusto per spaventare lo spettatore? Si tratta forse di pararlo davanti ad una sequela di jumpscare o è l’ansia a farla da padrone? Con questo articolo voglio darvi la mia personale visione su come essere completamente spaventati, analizzando alcuni titoli di cui abbiamo già parlato.

Nella mia recensione di Outlast 2 ho sottolineato come il gioco tenda ad avere un approccio dualistico rispetto al giocatore. Infatti il nostro sfortunato alter-ego si ritroverà a vivere due dimensioni parallele: una reale e una illusoria in una scuola della sua “adolescenza”. Proprio questo meccanismo ci è utile per capire effettivamente due tecniche separate che traggono la loro forza dallo spavento del giocatore.

Nella dimensione reale ci ritroviamo a correre all’impazzata tra le varie sezioni del gioco proprio perché dovremmo affrontare dei nemici a cui dobbiamo sfuggire. Sebbene esistano sezioni più “calme”, in generale si ha la tendenza di correre a perdifiato per evitare di morire svariate volte per mano della folla inferocita. Il fattore paura diviene dunque manifesto solamente nei vari “jumpscare” che il gioco propone tra una sezione di nascondiglio e l’altra. Ciò lascia il giocatore in un’esperienza che, principalmente, vivrà in maniera dinamica e “giocosa”. Evitare i nemici diventa lo scopo principale dell’avventura, così come quello di andare avanti il più rapidamente possibile. Naturalmente questo approccio rovina in toto l’esperienza “horror” e trasforma il gioco in un semplice survival senza chissà quali elementi terrorizzanti.

La differenza abissale si nota, invece, nella dimensione “scolastica”. In questi livelli il giocatore non sarà costretto a cercare chissà quale interruttore o via di fuga, l’atmosfera diviene il fulcro dell’esperienza. Certo, ci sono dei nemici in agguato, ma sono strutturati in modo da essere consoni alla sensazione ansiogena che i lunghi corridoi bui suscitano. La rilevanza del fattore piscologico del personaggio, rappresentato dalle visioni, è proprio l’elemento d’imprevedibilità che mette l’utente in una situazione a lui ignota, confusa. La mancata comprensione di uno scenario crea un misto di curiosità e terrore che inconsciamente vi suscita il desiderio di vedere cosa c’è oltre, nonostante la fifa blu. Questo, nella mia visione, è ciò che significa fornire un’esperienza horror degna di nota. I jumpscare sono graditi ma devono essere ben dosati e contestuali ai momenti in cui ce ne è bisogno: ovvero come climax di una situazione di irrequietezza, manifestazione della paura pura.

Non sorprende, dunque, che tale tecnica venga usata anche nelle produzioni più famose di sempre, come i racconti di Stephen King. Dal mondo dei videogiochi vediamo l’esecuzione magistrale di suddetti principi in “Resident Evil 7. L’ambiente della casa, che poi si allarga in diverse situazioni, è proprio la location ideale per puntare tutto su questa sensazione. Un eccessivo spazio aperto diventa un pretesto per correre a destra e sinistra utilizzando meccanismi trial&error che poco hanno a che fare con il genere. Invece, il team di sviluppo di CAPCOM ha utilizzato saggiamente il medium ludico creando degli enigmi funzionali sia alla trama che all’atmosfera, sfruttando soprattutto l’elemento disturbante/splatter. Stesso discorso potrebbe essere applicato alla claustrofobica astronave di “Alien:Isolation”.

Un altro fattore da sottolineare risiede nell’utilizzo della prima persona, lanciato nel boom sia da Penumbra che Amnesia, in maniera contestuale. Mentre la semplice prospettiva potrebbe essere percepita come un artificio videoludico, collegarla invece alla meccanica da “telecamera” la rende più omogenea alla sensazione di realismo che tali produzioni vogliono suscitare. Il docufilm amatoriale è un mezzo potente utilizzato dalle produzioni più famose degli ultimi tempi (nel bene e nel male). Per fare qualche nome, basta pensare a The Blair Witch Project, Paranormal Activity o perfino REC. A livello di puro inconscio sentiamo come se ci fosse un fondo di verità dietro ciò che stiamo vedendo sullo schermo, anche se siamo ben consapevoli di essere davanti ad una finzione. Sfruttando le connessioni logiche che avvengono tramite i dati ricevuti dalla retina ed elaborati dal cervello, tali artifici permettono di creare nello spettatore (o giocatore) il giusto grado di “dubbio” che permette un coinvolgimento personale maggiore. Il classico fenomeno del “allora questo evento paranormale esiste e può capitare anche a me”.

Durante questo Halloween godetevi una sana notte di puro horror con qualcuno dei giochi/film elencati qui sopra, riflettendo sui metodi in cui le immagini su schermo vi hanno fatto saltare dalla sedia. Chissà, magari sapere come funziona la paura potrà tornarvi utile nella realtà, prima o poi…